Privacy Policy MEDIOEVO GIOCHI E DIVERTIMENTI


 
 
 
 

GIOCHI E DIVERTIMENTI

Come occupavano il tempo libero gli uomini del Medioevo?
Anche se  il concetto di "tempo libero" come lo intendiamo noi
non esisteva sino alla metà del Novecento,
tuttavia anche in quell'epoca, in cui vita e lavoro spesso coincidevano,
vi erano feste e passatempi e non solo
chiesa, lavoro, politica e guerra.
Il quadro storico dei divertimenti medievali presenta sfumature notevoli,
legate alla scala sociale, alle diversità tra regioni e tra città e campagna
e rivela una civiltà che sa compensare la durezza e la brutalità
del quotidiano, con una fantasia e una vitalità incontenibili,
oggi difficilmente immaginabili.

La giornata del signore non prevedeva alcun tipo di lavoro:
la maggior parte del suo tempo era dedicata all'addestramento bellico.
Il signore  si alzava di buon'ora, recitava le preghiere
nella cappella e, dopo aver presieduto
ai giudizi nella sala del tribunale, si dedicava
insieme agli ospiti ai giochi d'armi e all'equitazione,
mentre i figli venivano istruiti da un maestro.
Il divertimento preferito dai nobili, uomini e donne,
era la caccia ai cervi o ai cinghiali coi cani
e agli uccelli e lepri col falcone.
La caccia procurava molti vantaggi: metteva alla prova il coraggio
e la resistenza alla fatica, liberava il territorio dagli animali feroci,
forniva abbondanza di selvaggina per i commensali.
Se per i nobili la caccia era divertimento,
per i poveri era una necessità: serviva a migliorare il magro pasto.

Il cavaliere e i suoi ospiti iniziavano il pranzo alle dieci circa;
terminato il pranzo riposavano per qualche ora
e si ritrovavano poi nel giardino, dove si dilettavano nel raccontare novelle,
discorrere, fare giochi di società, improvvisare cori e danze
e spesso organizzavano tornei di combattimento in cui i cavalieri
davano prova del loro valore, di fronte agli spettatori in tribuna.
Spesso erano ospiti del castello musici e giocolieri girovaghi
che facevano spettacoli di intrattenimento.
I sontuosi banchetti (lunghi anche dieci giorni), in occasione di matrimoni,
vittorie militari o tornei, erano la sede opportuna per sfoggiare
il lusso delle vesti, delle tavole e la prelibatezza delle pietanze.

Ma anche i contadini, i borghesi e gli artigiani si divertivano,
anche se in modo diverso, nelle numerose feste religiose in cui
non si lavorava e ci si abbandonava a bevute, scherzi e balli.
Non mancavano i giochi di società o i classici scacchi e i dadi,
così come erano diffusi sport di gruppo quali la soule,
antenata del nostro calcio, giocata fra squadre
di villaggi vicini o fra scapoli e ammogliati.

Anche le rappresentazioni teatrali (sempre basate sui misteri della fede)
avevano grande spazio: basti pensare che duravano giorni interi,
utilizzavano «effetti speciali» e comparse
e migliaia di spettatori facevano ressa per vederle.
La sera a cena a volte ci si divertiva con musici e trovatori itineranti
oppure giocando a scacchi o a dadi.
Il gioco degli scacchi fu molto popolare nel Medioevo
perché rappresentava un quadro della società dell’epoca;
il pezzo più importante era il re, che era sostenuto dagli altri:
i cavalli, gli alfieri e le torri e, più giù di tutti, i pedoni,
che rappresentavano i servi della gleba.
Mancava la Regina che venne introdotta solo nel 1500.
Bisogna tener presente che nel Medioevo,
ogni tipo di divertimento era condannato dalle autorità
e nel 1254, il re di Francia Luigi IX, detto “Il Santo”,
 vietò, addirittura, tutti i giochi da tavola e quelli con i dadi.
L’ostilità della Chiesa per gli scacchi si può spiegare, forse,
con il sospetto che questo gioco fosse un’occasione di peccato,
(come l’ira del perdente) o di avidità, se praticato per guadagnare.
 La “follia del gioco”, però, si diffuse tanto, sia in città che in campagna,
che la Chiesa faticava a contenere il desiderio di giocare
perfino degli stessi ecclesiastici, tanto che alla fine,
giunse a tollerarlo, “se praticato senza spirito di lucro,
con saggezza e moderazione”.

Si poteva giocare a scacchi però, solo  in luoghi aperti.
Si giocava dappertutto: logge, portici, crocicchi
e soprattutto le piazze con i mercati che
erano i punti nevralgici dell'attività ludica;
le case private, le botteghe, gli spazi semichiusi
 erano invece luoghi proibiti per giocare.

Tutti  erano contro il gioco d'azzardo, sia le autorità civili che ecclesiastiche,
forse a causa delle frequenti liti, risse, frodi e imprecazioni contro Dio
che spesso si sentivano nei luoghi dove si giocava.
Oltre a questo si voleva evitare la rovina di persone
che al gioco perdevano ogni avere!
Se vi era nei paraggi una compagnia di teatro, essa poteva essere invitata
a recitare nel cortile del castello, più per divertire la servitù
che per i signori, dato che la Chiesa condannava il teatro come disdicevole,
a meno che non rappresentasse episodi del Vangelo o della Bibbia.
Ma vi erano anche giullari e saltimbanchi, di piazza e di corte.
Il protagonista del teatro medievale era infatti il giullare, che si esibiva in pubblico
(strade, piazze, corti signorili...), non essendo ancora presente un edificio teatrale.
Il giullare faceva di tutto: suonava, cantava, ballava, recitava, imitava,
raccontava storie, faceva giochi divertenti e acrobatici, contorsionismi e altro ancora.
A causa della sua parodia, ironia e sarcasmo, ma anche a causa del fatto
che trasformava il proprio corpo, fingeva e non aveva fissa dimora,
frequentava luoghi poco convenienti e non teneva in considerazione la fede religiosa,
era costantemente attaccato dalla Chiesa.

Proprio per il suo ateismo di fatto era visto come un folle, un perverso, un immorale.
Ovviamente le donne non potevano recitare.
Gli attori erano solo uomini che interpretavano anche parti femminili
senza far molto caso alle fattezze; generalmente questo ruolo,
era affidato agli adolescenti.
Nelle belle giornate festive popolo e nobili si divertivano anche,
a giocare con palla e bastoni, una specie di hockey sul prato antistante le mura.
Nelle grandi festività, il signore concedeva la chiesa del castello
ai suoi dipendenti, come locale per danzare e far musica,
pratica questa che la gerarchia ecclesiastica non vedeva di buon occhio.
Ma la grande passione del Medioevo era il torneo!

Il torneo, le giostre militari o popolari erano delle vere e proprie
battaglie fittizie, relativamente ben regolate, dotate
in genere di premi e soprattutto riservate
a schermidori montati a cavallo e muniti di armi cavalleresche.
Tali riunioni, la cui organizzazione implicava ingenti spese,
venivano tenute di tanto in tanto dai re o dai baroni in occasione
di grandi feste, vittorie, matrimoni principeschi e facevano accorrere
gli amatori da ogni parte del mondo.
Molti di loro erano cavalieri senza fortuna che trascorrevano la loro vita
di torneo in torneo, ma vi erano anche grandi signori.
Come nelle nostre competizioni sportive, i cavalieri
si raggruppavano di solito per regioni.
Le ferite e persino i colpi mortali non erano rari.

Entravano in “lizza” nel chiuso dello steccato, parecchie coppie di cavalieri
armati di “armi cortesi” cioè lance terminanti in punta
con un bottone di ferro o di legno, spade smussate o rotonde, mazze ferrate
senza spuntoni né chiodi e tutti si contendevano il premio con grande accanimento.
Quando si organizzava un torneo, un araldo si recava di castello in castello
annunziando la festa, recando cartelli di sfida ai cavalieri e invitando
a combattere quelli che il signore riteneva degni.
Nel luogo destinato al combattimento, si rizzavano padiglioni di tela
e di velluto per i campioni e per il loro seguito:
scudieri, staffieri, valletti e persino menestrelli.

Poi si costruiva l’anfiteatro circondato dagradinate per il pubblico
e da palchi a forma di torre, di loggia, di terrazzo, adorni di tappeti,
di arazzi, di tende trapunte d’oro e d’argento, da cui le dame
incoraggiavano i campioni e i giudici davano il loro verdetto.
Il cavaliere che desiderava entrare in lizza, compariva
il giorno precedente il combattimento,
davanti agli araldi, faceva al loro cospetto prove di nobiltà
e consegnava lo scudo dipinto coi colori della sua casa
e della sua dama o col suo stemma particolare o di famiglia.
Il combattimento era preceduto dalla presentazione dei campioni,
il tipo di armamento, la scelta della dama nel nome della quale i nobili duellavano.
Nonostante i cavalieri fossero protetti dall'armatura e dalla corazza,
spesso i duelli causavano feriti ma più raramente morti.
I vinti dovevano cedere il cavallo, l'armatura e pagare
un riscatto per essere lasciati liberi dai vincitori
che oltre a ciò, ottenevano l'ammirazione della dama.
Ci fu chi fece di questo, che doveva essere un gioco,
un modo per arricchirsi rapidamente.

Si combatteva due contro due, drappello contro drappello,
 a cavallo, a piedi, fino a che uno dei due combattenti
chiedeva grazia oppure, stanco, alzava la visiera.
Era disonorevole ferire con la punta della spada,
combattere in più contro uno, percuotere un cavaliere vinto,
colpire il cavallo per far cadere  il cavaliere che vi montava sopra.

Nei caroselli o gare di velocità e di destrezza, non si teneva
l’armatura di ferro, ma i contendenti indossavano
splendidi abbigliamenti con i colori della dama o del principe.
I cavalieri facevano gare di corsa a cavallo, in cui bisognava portar via un anello
appeso ad una colonna, per mezzo della punta della lancia o della spada,
dovevano scagliare colpi alla quintana (fantoccio imperniato su un ferro girevole),
scaricare fendenti su una testa collocata in basso o raccogliere da terra,
mentre passavano a gran carriera, guanti, gioielli, fazzoletti, fiori, ecc.

Era nella Giostra o Torneo che i cavalieri provavano la loro
abilità e coraggio sotto gli occhi di languide fanciulle
e gente eccitata che scommetteva su di loro.
Nati come addestramento militare, i tornei si trasformarono in breve
in un modo legale di dirimere dispute o sfogare odi e rancori.
Prima del XIII secolo lo scontro tra cavalieri era libero
e si giungeva a vere battaglie in campo aperto
che coinvolgevano decine di contendenti;
vi erano molti morti (anche 60 in una sola competizione!)
e questo spinse il papa a disapprovare la violenza
di tali gare e a proibire l'estrema unzione e il seppellimento
in terra consacrata a chi fosse stato ucciso in un torneo.

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Tornando alla giornata tipo di un cavaliere medievale, c'è da dire
che non sempre era possibile organizzare dei tornei
all'aperto, ad esempio nei giorni di pioggia.
In queste giornate, ci si incontrava nella sala del castello
dove si giocava a carte o agli scacchi.
Nei mesi freddi, la sera, dopo una cena, meno copiosa del pranzo,
il signore passava il tempo davanti al camino acceso,
circondato dalla famiglia e dagli ospiti.
Qui si leggevano racconti che narravano le fantastiche ed eroiche
vicende dei cavalieri.

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La guerra aveva grande importanza poiché combattendo,
il cavaliere aveva modo di dimostrare il proprio valore,
la propria fede, la propria lealtà nei confronti del re.
Inoltre in guerra i signori rimpinguavano, tramite il bottino,
le loro risorse, necessarie per condurre una vita di quel tipo.
Le guerre non erano combattute tra enormi eserciti,
ma da poche migliaia di individui:
i fanti armati alla leggera e i cavalieri corazzati, su cavalli  corazzati.
Coloro che rischiavano di più erano i fanti che spesso venivano massacrati,
a differenza dei cavalieri che venivano catturati vivi per ottenere un riscatto.
In questi secoli di violenze in cui i signori si combattevano in incessanti guerre,
i contadini erano esposti alla brutalità dei più forti
non avendo i mezzi per difendersi.
La chiesa per porre fine a questa violenza dilagante, emanò una serie di divieti:
successivamente si sarebbe affermata una nuova etica secondo la quale
il cavaliere avrebbe dovuto combattere per difendere
la Chiesa dagli eretici e infedeli.

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Nelle città italiane del XIII e XIV secolo veniva praticata
un'ampia varietà di giochi d'azzardo con i dadi
o con altri strumenti e il piacere di giocare ispirava
sempre nuove invenzioni; a tali giochi si aggiunse, poi,
quello con le carte, altro grande divertimento ludico d'azzardo.

Sembra che all’epoca medievale, risalga un gioco chiamato “Baccarà”
che veniva praticato con i tarocchi che, considerati magici,
venivano decorati da illustri artisti e usati come strumenti di divinazione.
Riguardo alla nascita di questo gioco, alcuni sostengono che nacque
nell'Italia settentrionale, a Ferrara nel periodo compreso
tra la fine del Medioevo ed il Rinascimento,
altri ritengono che il gioco sia stato inventato
da un usuraio abruzzese di nome Lino Bussoli,
altri ancora da un certo Felix Falguiere o Falguierein,
giocatore d’azzardo italiano.
In un caso o nell’altro, alla fine il gioco arrivò in Francia,
dove venne accolto a braccia aperte dall’aristocrazia francese.
Pare che il gioco  derivi dall’antico rituale etrusco chiamato
“dei nove dei”, in cui si pensava che una vergine dai capelli biondi
dovesse tirare un dado a nove facce dal cui risultato
venisse determinato il suo destino.
I mazzi di carte di lusso dipinti a mano erano disponibili solo per pochi,
che li usavano privatamente o con pochi eletti,
generalmente appartenenti all'alta società.
Questi giochi appartenevano tutti alla categoria della pura fortuna,
vale a dire alla categoria dei giochi proibiti nel periodo medioevale.
Uno dei luoghi dove il gioco era più diffuso era la Taverna.
Nelle maggiori città dell'epoca se ne trovavano diverse,
ma esistevano anche  "taverne mobili", costituite da un carro,
 con il quale un oste si spostava da una fiera all'altra.
 Le insegne, dipinte sull'entrata, generalmente erano dedicate ad animali:
Il Falco Bianco, il Falco d'Oro, Il Pavone, ecc.

Uno spettacolo assai gradito era il combattimento di animali (ad esempio tra toro e leone).
Ma l’entusiasmo maggiore del popolo era riservato ai funamboli
che camminavano sulla corda, tirata magari dalla cima di una torre a quella di un campanile.
Sotto, il pubblico provava il brivido della paura di veder precipitare
da un momento all’altro il temerario che camminava a quell’altezza, sulla funicella.

Anche durante il 1300, quando «la morte nera»,
si diffuse in Europa uccidendo un quarto della popolazione.
la gente continuò a divertirsi, anzi la continua minaccia della malattia
e della morte tormentava la gente sino a portarla quasi alla pazzia.
La gente cantava e danzava freneticamente nei cimiteri, poiché era convinta
che tali azioni avrebbero cacciato i demoni.
La malattia, le superstizioni e la paura dell’epidemia, portarono
alcune persone a danzare selvaggiamente
da un posto all’altro, finché non svenivano o morivano.

I giochi dei bambini

Nel periodo tra il 1000 e il 1500 non esistevano molti giochi per i bambini
I bambini giocavano con ciottoli, fili d'erba, conchiglie
che la loro immaginazione tramutava facilmente in biglie,
servizi per bambole oppure con ciuffi di lino o di canapa
con i quali costruivano bambole.
Con  doghe di legno facevano cerchi
e trasformavano in palloni i vasi di terracotta
rubacchiati in cucina o le vesciche di porco
che il padre regalava loro quando ammazzava i maiali.
Gli artigiani realizzavano fischietti di terracotta a forma di uccello
e uccelli animati in metallo.
Fabbricavano trottole e bambole con argilla o legno.

Un giocattolo molto apprezzato era il mulinello ad alette
scolpito in una grossa noce o più elaborati
piccoli mulini a vento realizzati dagli stessi bambini.
Le figurine, erano in legno, terracotta o piombo
e non avevano la morbidezza delle pellicce.
Ai bambini si regalavano volentieri animali da compagnia;
alle bambine, scoiattoli addomesticati o uccelli in gabbia.
I giovani figli dell'aristocrazia preferivano possedere un falco,
che presto imparavano ad addomesticare, i figli
di alcuni castellani giocavano con scimmie.
I giochi di abilità erano fatti con animellas,
cioè noccioli di frutta e ruellas (dischi lanciati il più lontano possibile).
Il giocattolo aveva una funzione didattica:
doveva infatti indirizzare alla futura professione o mestiere.
I bambini erano sensibili a questo carattere educativo del gioco
e quando erano sulla spiaggia i bambini
che sapevano d'essere destinati alla vita religiosa,
costruivano  delle abbazie, mentre i futuri cavalieri
costruivano castelli di sabbia. A loro si regalano piccole lance,
archi in miniatura, spade in legno e sempre il cavallo-bastone
che si cavalcava correndo.

Classici regali per le bambine erano la canocchia in miniatura
e un secchio per attingere l'acqua.
Ai piccoli che vivevano nelle campagne venivano invece regalati trampoli,
il carretto in legno miniaturizzato da trascinare nel cortile della fattoria
e barche in miniatura scavate nel legno e munite di un foro a prua,
per poterle tirare nei canali con l'aiuto di cordicelle.

Giochi e giocattoli ricorrono in centinaia di manoscritti, affreschi e sculture:
infatti la loro rappresentazione era assai apprezzata dai nobili che,
a partire dal XIV° secolo non esitavano ad abbellire i propri castelli
con argenti e tappezzerie aventi per soggetto il gioco dei bambini.
Questi giocattoli comunque comparvero nel 1300;
prima di questa data gli unici giochi che bimbe e bimbi possedevano
erano semplici palle ed aquiloni.
Le bambole. rappresentavano affascinanti donne dell’epoca,
erano fatte di argilla bianca e venivano regalate per il  battesimo.

La maggior parte di esse aveva una cavità circolare nel torace
nella quale veniva custodita una moneta d’argento.
Esistevano differenti tipi di bambole, ognuna adatta ad una età diversa.
Quelle destinate ai neonati erano poco costose,
grossolanamente modellate nell’argilla, venivano riempite
di biglie di terracotta e usate come sonagli.
Le bambine di due o tre anni si divertivano a fasciarle
e per questo motivo sono pervenute intatte fino a noi.
In Italia si hanno notizie di bambole di legno a grandezza naturale,
più manichini che balocchi, destinate a comparire nelle fiere.
In un’epoca dominata dalla magia, c’erano pupe fatte
con le radici delle mandragole, di cera, forse portate in Europa
dai crociati che servivano per oscuri incantesimi:
secondo la fantasia popolare, le bambole erano destinate
a sconfiggere i nemici, durante le tenebrose messe nere.
Anche i bambini di quest’epoca amavano giocare assieme.
Un gioco molto popolare era: «segui il capo»;
questo gioco risale più o meno al 1100 ed è molto semplice:
un bambino era scelto per essere il capo.
Gli altri giocatori lo seguivano in fila e dovevano fare
tutto ciò che il capo faceva; egli poteva fare tutto
ciò che preferiva: saltare, correre, cantare, ballare.
Ovviamente questo gioco non aveva né vinti né vincitori.
Un altro gioco era a «quoits»: ognuno doveva lanciare
dei cerchietti di legno cercando di centrare
 un bastone piantato nel terreno.
É un gioco che risale al 1300, ed è nato in Inghilterra.
Molto in voga era il gioco di porsi degli indovinelli;
ne ricordiamo alcuni fra i più conosciuti di questo periodo:
D: Cosa non fu mai e mai sarà?
R: Il nido di un topo nell’orecchio di un gatto!
D: Quando una porta non è una porta?
R: Quando è socchiusa!
D: Cos’ ha gli occhi ma non può vedere?
R: La patata!
D: Quale tipo di frutto è rosso quando è verde?
R: La mora!

Ecco la descrizione di alcuni giochi:

FILETTO O MULINO

Questo è un gioco che ha origini molto antiche.
I documenti ritrovati testimoniano la sua conoscenza
da parte di svariati popoli fra cui Egizi, Greci, Irlandesi, Fenici
e addirittura da popoli vichinghi situati in Norvegia.
Questo gioco compare anche nel "Libro dei Giochi"
di Alfonso X il Saggio, ma anche nel talmud e nel
"Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare.
Il gioco del mulino si giocava in due.
Ognuno disponeva di nove pedine, bianche e nere, che
venivano messe sui 24 punti della scacchiera.
Prima di giocare si tirava a sorte la prima mossa.
In un primo momento i giocatori dovevano disporre a turno
ognuno dei loro nove pezzi su un punto libero della scacchiera,
poi, quando i pezzi erano posizionati,
si spostano le pedine verso i punti adiacenti liberi.
L'obiettivo del gioco era quello di formare dei "mulini" a file di tre pedine ("filetto").
Ogni volta che un giocatore completa un "mulino" toglieva dal gioco un pezzo nemico.

I DADI

La parola romana alea, che significa dado a sei facce puntate da 1 a 6,
perde nel Medioevo il suo significato per divenire sinonimo di tabula
ovvero gioco di fortuna ed abilità basato sull'uso di un tavoliere,
delle pedine e dei dadi, cioè il Ludus Tabularum o gioco delle tre tavole.
Lo stesso Petrarca chiama il gioco delle tavole "de ludus aleae et calculorum"
Il Medioevo coniò per questo gioco, una nuova parola derivata
dal nome dell'osso del piede della zampa posteriore dell'agnello (Talus)
questa parola è
TAXILLUS il dado medioevale!

LA ZARA

Per il gioco della zara (ludus azarj)
servivano tre dadi a 6 facce ed un tavolo piano
(e molti soldi da perdere);
durante il gioco il giocatore di turno chiamava un numero e vinceva
se la somma dei tre dadi lanciati era pari al numero chiamato
"suum numerum invocavit" (Petrarca)
"Io chiamavo cotal numero che era ragionevole a dover venir" (Jacopo della Lana).
Le puntate potevano esser fatte poggiando i soldi sui numeri scritti sul tavolo
come in una moderna roulette; a seconda delle combinazioni uscite
i giocatori pronunciavano le parole AZAR PUNCTUM PARTIA o altre ancora
che spesso servivano a mascherare il gioco stesso,
sempre proibito, alle orecchie attente degli ufficiali giudiziari.
L'offiziale ha da procedere "si audierit aliquem ipsorum dicere
AZAR vel PUNCTUM vel PARTIA vel simil verbia"
(Statuto alessandrino).
Ora siccome con tre dadi le combinazioni che si possono manifestare
in un solo modo  sono 3, 4, 17 e 18,
queste venivano chiamate AZARI e non computate nel gioco:
"In tre dadi si è tre lo minore numero che vi sia.
E non può venire, se non in un modo, cioè quando ciascun dado viene in asso.
Quattro non può venire in tre dadi, se non in uno modo, cioè:
uno in due e due in asso. E però che questi numeri non possono venire,
se non per uno modo per volta, per schifare fastidio,
e per non aspettare troppo, non sono computati nel giocho e sono appellati azari.
Lo simile di 17 e 18" (Jacopo della Lana).
Che la parola zara rappresentasse la combinazione sfavorevole lo si può desumere
anche dall'antichissimo proverbio "zara a chi tocca".
Scrisse Dante nel sesto canto del Purgatorio
"Quando si parte 'l gioco della zara
Colui che perde, si riman dolente,
Ripetendo le volte, e tristo impara;
Con l'altro se ne va tutta la gente:
Qual va dinanzi e qual dietro il prende,
E qual da lato li si reca a mente:
Ei non s'arresta, e questo e quello intende;
A cui porge la man più non fa pressa
E così dalla calca si difende
Tal ero io in quella turba spessa......."

IL SOZUM

Il sozum era un gioco simile alla zara:
il vincitore era colui che con tre dadi faceva il numero più alto

LA MURBIOLA

Identico alla zara solo al posto dei numeri vi potevano essere
delle figure riportate anche su delle carte su cui si puntava il denaro.

IL MISTERO

Non è possibile ricostruire con precisione le regole con cui si giocava
alle tavole e non perché il gioco non sia nominato un'infinità di volte:
negli statuti medievali per proibirlo e nelle prediche francescane
dell'ordine dei mendicanti per condannarne la pratica, solo perché
di questo gioco praticato da tutti in una infinità di varianti
non si è mai giudicato utile o necessario darne le regole.
Gli unici indizi che abbiamo sono affreschi dell'epoca,
nel Monastero di Lecceto vicino SIENA - "Opere dei Demoni"
"Si vedono due uomini a mensa, le tavole la coprono completamente.
A sinistra sta' il perdente: i tre dadi caddero in modo, che la sua perdita
è diventata probabile, anzi sicura.
Per tal ragione egli è sorto in piedi, esacerbato dalla mossa inaspettata;
egli afferra il vincitore per la gola, stendendo il braccio
in modo che la tavola resta interamente visibile.
Il vincitore sta seduto e pare spaventato.
Si distinguono bene da ambidue le parti cinque file di pedine,
e la loro somma fa trenta, quindici per parte e la prima fila del vincitore
è chiusa mentre quella del perdente è aperta."
Le pedine dunque non si toglievano  dal tavoliere ma a seconda
di come cadevano i dadi cambiavano di posto.
Gli statuti medioevali non consideravano dapprima le tavole come gioco d'azzardo,
limitandosi ad imporre l'uso di tutte le pedine "cum omnibus tabulis",
questo per evitare che le pedine non usate, poste ai bordi del tavoliere,
lasciassero spazio ai dadi per il gioco della zara.

LO SBARAGLINO O TAVOLA REALE

E' a tutti gli effetti l'unica variante del gioco delle tavole
arrivata fino a noi e di sicura origine medioevale
"giuoco di tavola con due dadi e trenta pedine su tavoliere
con frecce rosse e bianche in cui vincitore è colui
che sgombra per primo il campo dalle proprie pedine".

LA TROTTOLA

Questo tipico gioco da ragazzi in cui una trottola di legno
veniva fatta rotolare tramite un pezzo di corda
legato ad una impugnatura di legno e il cui vincitore
era il ragazzo la cui trottola rimaneva in piedi più a lungo e che quindi
aveva diritto di percuotere con la punta della sua trottola le trottole degli altri,
(una trottola priva di ammaccature testimoniava  il trottoliere più abile),
nelle mani degli adulti divenne gioco d'azzardo:
il trottoliere tracciava un cerchio a terra e faceva scommettere
sulla sua capacita di mantenervi all'interno la sua trottola in rotazione.

GLI OSSETTI

Questo gioco molto antico, si giocava nel periodo pasquale.
Consisteva nel procurarsi un certo numero di garretti di agnello imbiancati,
nel porne uno sul dorso della mano e gli altri a terra;
lanciato in aria il primo si doveva raccoglierne un altro da terra
e riprendere questo al volo: si proseguiva poi così
con due ossetti in aria, poi tre, quattro etc.
Si amava scommettere anche su questo.

I GIOCHI CON LA PALLA

Questi fiorirono numerosissimi sia per ragazzi che per adulti,
assumendo nel caso di adulti, spesso carattere violento.
C'era una specie di hokey giocato con palle di cuoio e mazze di legno
e le mazze non percuotevano solo la palla e quasi mai si trattava di errori involontari)
Tra i giochi per bambini ricordiamo l'analogo di quello da noi chiamato "muretto",
in cui a turno si lanciava la palla contro un muro
con l'intento di impedire all'avversario di riprenderla.

LA RUZZOLA

Si giocava arrotolando una stringa di corda piatta attorno ad una
forma di formaggio durissimo oppure a un tondo di legno,
poi si lanciava davanti per farla rotolare.
Si giocava lungo le strade del paese e vinceva chi arrivava più lontano.
In Toscana ancora oggi si svolgono campionati di questo gioco.

PALETTI, PIASTRELLE, BIRILLI, CONI, PALLOTTOLE

Con questi nomi venivano chiamati i giochi di abilita consistenti nel lancio di oggetti
quali oggi potrebbero essere le bocce o il lancio di ferri di cavallo.
Vogliamo ricordarne uno in particolare: LA LIPPA consistente nel percuotere
su di una estremità un bastone appoggiato a terra con un bastone
più lungo e per poi lanciarlo, colpendolo di nuovo in aria, il più lontano possibile.





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